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“Numero Zero”: la storia contemporanea nel nuovo romanzo di Umberto Eco

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Cambio di rotta per Umberto Eco. Almeno dal punto di vista editoriale.
Perché l’ultimo romanzo dello scrittore e professore di Alessandria è innanzitutto un testo breve, di poco più di duecento pagine. Abituati a corpus decisamente più voluminosi (dal
Nome della Rosa al penultimo Il cimitero di Praga per non dimenticare il “massiccio” impaginato del Pendolo di Foucault), quest’ultima opera ha decisamente l’aspetto e la forma più di un racconto lungo che di un romanzo vero e proprio. Almeno per i parametri narrativi di Eco. 
Ma quello che più ci interessa, al di là di immediate misurazioni tipografiche, è l’argomento scelto in queste pagine. Eco, subito all’inizio, ci presenta un taglio quasi da noir attraverso la conoscenza del protagonista, tale giornalista di nome Colonna, nel cui appartamento privato probabilmente qualcuno è entrato, attraverso un’effrazione maldestra, alla ricerca di qualche cosa.
Siamo già, sin dalle prime parole quasi, al raggiungimento dello
spannung diegetico, con la presa d’atto da parte del Colonna di una reale situazione di pericolo e della tempestiva necessità di prendere provvedimenti il prima possibile.

Quale risoluzione, dunque? Chiedere aiuto? La fuga? E, soprattutto, prima ancora degli ipotetici assassini, chi è il protagonista? Chi è, insomma, questo Colonna?
È da questo punto, allora, che Eco inizia una lunga analessi narrativa riprendendo la storia qualche mese prima dal punto in cui ce l’ha presentata, ovvero all’inizio della primavera dell’anno 1992. La storia comincia propria con la nascita di un progetto di una particolare testata giornalistica dal generico nome (“Numero Zero”), all’interno della cui redazione si ritrovano lo stesso Colonna e altri personaggi le cui sorti professionali nel mondo dell’editoria fino a quel momento non erano state fortunate. Tutti accomunati dalla committenza di uno sconosciuto ma facoltoso commendatore, al vertice delle azioni del giornale.
E qui inizia la vicenda vera e propria, con le sue vicissitudini sino allo scioglimento finale.
Ma, al di là della trama e della sua conclusione successiva, quello che interessa ad Eco è raccontare un mondo particolare: quello dell’Italia e della sua storia sociale, economica e politica nei decenni dal Fascismo sino al 1992. Quest’ultimo non è certo un anno scelto casualmente. Siamo alla vigilia di Tangentopoli, dell’esplosione cioè di quello scandalo a livello nazionale della corruzione nei principali tessuti amministrativi della nostra società, è l’anno del vaso di Pandora del malaffare e della cattiva politica in salsa tipicamente italiana.

Eco sembra quasi voler raccontare, attraverso le immaginarie vicende della redazione di “Numero Zero” e delle inchieste che ne fanno a capo, un mondo di privilegi e di regalie ormai giunto al collasso, non più in grado di autosostenersi nella clandestinità e nella complicità. Ma le cose sono molto più complicate, più ramificate di quanto possa sembrare, anche ai nostri redattori. Di una complessità tale che non può certo spiegarsi soltanto con il fenomeno di Tangentopoli (per quanto scandaloso e inaspettato nelle sue forme e proporzioni), grazie al quale si è poi potuto parlare di “fine della Prima Repubblica”; ma di una complessità talmente ingarbugliata e inveterata da risalire appunto ai tempi di Mussolini!
Sì, è proprio questa la particolarità del romanzo di Umberto Eco. E paradossalmente Benito Mussolini diventa il coprotagonista della storia, quasi in modo parallelo a Colonna e agli altri personaggi. Ma andiamo con ordine. All’interno della redazione di questo strano giornale (i cui scopi così come i reali mandatari restano sempre all’oscuro del lettore) si muovono individui dal passato non sempre chiaro e operanti lungo un confine alquanto labile tra legalità e malaffare. Lo dice la presentazione stessa del libro in copertina: “Una redazione raccogliticcia che prepara un quotidiano destinato, più che all’informazione, al ricatto, alla macchina del fango, a bassi servizi per il suo editore.”

E dentro questo gruppo si muove anche un giornalista di nome Braggadocio che diventa in qualche modo l’antagonista di Colonna, oppure la spalla, dipende dai punti di vista. Ma Braggadocio ha una funzione vitale per la trama: la sua azione è quella di svolgere un’indagine non ufficiale ma parallela a quella del suo giornale, quasi in clandestinità assoluta, rotta soltanto dalla confidenze in chiave amichevole rivolte proprio al Colonna. Come un cane sciolto. Eppure l’indagine di Braggadocio è tanto scottante quanto inverosimile perché sostiene, con alcuni dati alla mano e una ricostruzione variamente opinabile, la non-morte del vero Mussolini nel 1945 ma la sua sostituzione con un sosia e la volontà di aver preservato l’incolumità del vero Duce attraverso i cunicoli segreti del Vaticano, nel momento della Liberazione, forse per fargli poi raggiungere l’Argentina, forse per lasciarlo all’ombra nell’attesa di un nuovo sviluppo di eventi. E gli eventi sarebbero stati, successivamente, quelli della presa del potere negli anni Settanta della destra revanscista, con un colpo di Stato a firma di Valerio Junio Borghese il quale però sarebbe stato solo l’anticipatore e l’emissario del vero golpista e futuro capo politico; cioè quello stesso Mussolini finalmente “scongelato” dalla sua prigionia di sicurezza ma all’epoca dei fatti ottuagenario avanzato!


Eppure, nonostante l’apparente lato grottesco della ricostruzione, la rievocazione che Eco mette in
bocca a Braggadocio funziona, si presenta come plausibile, anche se storicamente del tutto oppugnabile se non alquanto grottesca. Ma l’indagine di Braggadocio, oltre a presentarsi come un sotterraneo leit motiv di tutte le vicende del romanzo, serve anche come chiave di lettura per tutti gli altri eventi italiani, specialmente quelli successivi agli anni Settanta (“E nell’ombra Gladio, la P2, l’assassinio di papa Luciani, […] la Cia, i terroristi rossi manovrati dagli uffici affari riservati, vent’anni di stragi e di depistaggi […]) e anche per quelle successive al 1992, anno di svolgimento della nostra storia: ovvero quelle vicende che i nostri personaggi ancora devono affrontare ma che il lettore già conosce.
Come a dire? La storia politica italiana è stata condotta e manovrata in tutti questi anni da un fantomatico burattinaio? Esiste davvero un potentissimo e misterioso
Deus ex machina capace di condizionare i principali fatti italiani, magari in connessione con altre presunte autorità internazionali?


Non crediamo che intenzione di Eco sia stata quella di rispondere a tali domande né tantomeno di dar fiato alle trombe, mai dome, della dietrologia imperante e onnipresente. Anche perché, al di là del rivestimento giallistico di tutto il racconto, si nasconde ma si avverte una lettura irriverente e anche umoristica; a tal punto che gli stessi personaggi, così drammaticamente coinvolti nelle proprie inchieste e anche penosamente preoccupati degli sviluppi del tutto, sono caratterizzati da un atteggiamento ambivalente che li rende persino simpatici, a lor modo, agli occhi del lettore. E anche la Milano che fa da sfondo allo storia talvolta assume, da un lato, connotati spettrali con alcune sue vie e certi baccanali ancora a cielo aperto, ma dall’altro assomiglia più a una città dell’anima di calviniana memoria, molto più innocua di quanto possano destare le più truci apparenze.



Fatto sta che, alla fine, crediamo che il vero intento di Eco fosse rivolto non tanto ai fatti veri e crudi (la storia italiana del periodo ormai conosciuta dai più e vista e rivista tante volte) né alle sue nuove interpretazioni (anche la vicenda mussoliniana ci sembra più un
divertissement di natura storiografica in mano all’autore). Eco vuole molto più concretamente soffermare lo sguardo sul come rispetto al cosa, cioè sugli strumenti del giornalismo, ponendosi invece da questo punto di vista domande di uno spessore etico serissimo: fino a quanto si può spingere la pratica del giornalismo? Qual è il codice deontologico di chi fa questo mestiere o di chi si occupa, professionalmente o no, di fare ricerche e di voler raccontare i fatti attorno a noi? Si può distinguere un buon da un cattivo giornalismo oppure, come recita la stranota battuta cinematografica, bisogna accontentarsi di un “È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!”

Non c’è una risposta, probabilmente. Quello che conta è la riflessione su tali aspetti, una riflessione a tutto campo che diventa a nostro giudizio tanto più significativa ai nostri giorni, in un modo sempre più massmediatico e inflazionato di dati e conoscenze come quello che viviamo noi oggi, a cavallo del secondo decennio del nuovo millennio. E che, ancora più significativamente, è riassunto da quell’esergo di E. M. Foster “Only connect!” che assume ai nostri occhi la valenza ben più semantica di quella di un semplice, per quanto riuscito, motto a inizio di libro.

 

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