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Libri: Hermann Hesse, «Demian»

Era il 1919 quando la breve e intensa storia di Emil Sinclair, protagonista e pseudonimo dietro il quale si nascose per molto tempo Hesse, riuscì a coinvolgere e a farsi specchio di un vasto gruppo di giovani da poco usciti dalla tempesta della prima guerra mondiale.

Eppure, leggendola ancora oggi la vicenda non smette di rappresentare quella condizione che i giovani, cuore palpitante di ogni società, condividono con il proprio io: la perfezione, la luce, la bontà che gli altri si aspettano e che noi vorremmo avere e dare, convivono e si scontrano con l’altro lato, oscuro, dell’anima.

Ed è così che l’autore personifica le due componenti in perenne scontro dentro ognuno: bene e male, Demian e Kromer, destinati non per tutti, a fondersi in un perfetto e mistico equilibrio che può rivelarsi solo nel disegno tracciato nella confusione di un istante: “l’uccello lotta per uscire dall’uovo. L’uovo è il mondo. Per nascere devi distruggere un mondo. L’uccello vola a Dio. Il nome del Dio è Abraxas”.

La polarità, la scissione, il contrasto più intimo sono i veri personaggi di questo romanzo arrivato, probabilmente senza volere, ad un tale livello di esemplarità e raffinatezza psicologica da esser stato definito “piccolo capolavoro” da quel Thomas Mann che, dopo averlo letto, fu costretto a revisionare tutto l’impianto psicanalitico dell’allora in fieri Der Zauberberg.

“L’amore non era più l’oscuro istinto animale che nella mia angoscia mi era parso da principio, né era la pia e spirituale adorazione che avevo avuto per Beatrice. Era l’uno e l’altra, era più ancora, angelo e Satana, uomo e donna insieme, umanità e bestialità, supremo bene e male estremo”.

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